giovedì 8 dicembre 2016

I miei quadri preferiti ( + 1) sull'amore



Gli amanti,  René Magritte (1928)

Il bacio, Gustav Klimt (1907 - 1908). Österreichische Galerie Belvedere, Vienna.

Il bacio con la finestraMunch (1892). National Museet for kunst, Oslo.  

Swimming Lovers, Eric Fischl (1984). Albertina Museum 
Gli amanti (L’abbraccio), Egon Schiele (1917). Österreichische Galerie, Vienna.

La passeggiata, M. Chagall (1917 - 1918). Museo di Stato Russo, Pietroburgo.

Amore e Psiche, Antonio Canova (1787 - 1793). Museo del Louvre, Parigi.

martedì 26 luglio 2016

L'animale morente




  Consumami il cuore; malato di desiderio 
     E avvinto a un animale morente 
       Che non sa che cos’è.
Byzantium - W. B. Yeats 


Roth è un colpo di fulmine letterario
Una volta che lo scopri non ne puoi più fare a meno.

L'animale morente, con le sue 113 pagine, racconta la storia del famoso professor David Kepesh e del suo incontro con la giovane studentessa Consueta Castillo. Non fatevi ingannare, non c'è nulla di banale o scontato. Non è solo una storia di sesso, non è solo una storia d'amore che fa fatica a riconoscere l'alterità, non è solo una storia di un uomo incapace di assumere il ruolo di marito e di padre, non è nemmeno solo una storia di una vita. E' tutto questo, certo, ma molto di più. 
L'abilità di Roth sta nell'essere riuscito a racchiudere in un così esiguo numero di pagine un mondo immenso. La psicologia dei personaggi è minuziosamente definita, la sofferenza che caratterizza alcuni eventi è palpabile, dilania il lettore lasciandolo inerme.



"Tutti hanno qualcosa davanti a cui si sentono disarmati, e io ho la bellezza. La vedo e mi acceca, impedendomi di 
scorgere ogni altra cosa."




mercoledì 18 maggio 2016

La figlia sbagliata




Leggere La figlia sbagliata della Romagnolo, candidato al Premio Strega 2016, dopo Lacci di Starnone ha contribuito a far restare la mia mente ingarbugliata all'interno di dinamiche familiari disfunzionali e circoli viziosi di estrema sofferenza intergenerazionale.

Diciamolo subito, chiaro e tondo: la Romagnolo è stata straordinaria. E' riuscita a tessere una tela complessa ma precisa degli eventi e della psicologia dei personaggi facendoli crescere, maturare, cambiare sotto ai nostri occhi. C'è un filo rosso che collega tutti gli eventi che non si spezza mai: ogni azione o emozione dei protagonisti è correlata ad altre azioni ed emozioni ben precise e rintracciabili nello spazio-tempo delle dinamiche familiari. 

Andiamo per ordine: la copertina è bellissima. Grafica, essenziale, con gli elementi salienti del romanzo già presentati sottoforma di disegno. Il rebus ci rimanda immediatamente alla Settimana Enigmistica che, all'interno delle vicende, detiene un ruolo significativo. Sul retro-copertina, invece, vi è stampata una spirale sulla quale sono indicate le date più significative delle vite dei personaggi. La trama, infatti, si distribuisce su quattro giornate ma, tra una giornata e l'altra, vi sono dei flashback che ci consentono di scoprire cosa sta dietro al qui ed ora aiutandoci pertanto a comprendere la personalità ed i sentimenti dei protagonisti in modo profondo e progressivo.






Protagonista della vicenda è la famiglia Polizzi composta da Ines, vertice del sistema familiare sotto la quale si posizionano gerarchicamente tutti gli altri, Pietro, gran lavoratore ora in pensione che mantiene una posizione quasi di spettatore all'interno della struttura familiare, ed i loro figli Vittorio (amato e venerato) e Riccarda (sbagliata e rifiutata anche nel nome). 

Il libro inizia con la morte improvvisa di Pietro Polizzi: un infarto lo stronca mentre la moglie sta lavando i piatti e gli dà le spalle. Quando Ines se ne accorge non fa nulla: non chiede aiuto, non avvisa nessuno, non entra nel panico. Dà semplicemente il via alla narrazione delle vicende della loro famiglia.

Ines mi ricorda quelle donne che arrivano in terapia con la figlia anoressica o tossicodipendente o con dei tic molto evidenti ed invalidanti: l'estremo controllo e l'assenza di alterità nella relazione educativa non porta mai a qualcosa di buono. Chiariamolo. 
Ines infatti rende la sua vita ragionevole: tutto ciò che fa non viene dal cuore o da motivazioni positive ma dalla semplice e sterile ragionevolezza. Questo dogma lo proietta sui suoi figli mediante un controllo spasmodico ed una totale incapacità di leggere i loro reali bisogni: Vittorio collude con lei, diventando quel bambino così perfetto da renderla la donna più orgogliosa al mondo; Riccarda, in qualche modo protetta dal fratello che le fa da scudo, ha la forza e la possibilità di ribellarsi, con la conseguente esclusione dall'amore materno.

"Mamma sta facendo quella faccia e Vittorio sente di non avere scampo. -Sì- le dice." 

"A volte, con la mamma, Vittorio va in confusione."

Con una madre così intrusiva ed un padre così evitante (Pietro si ammazza di lavoro piuttosto che stare a casa con Ines, rinunciando pertanto anche alla sua funzione genitoriale), infatti, Vittorio non è in grado di distinguere i suoi desideri e bisogni da quelli della madre. Si crea una diade simbiotica carica di sofferenza che impedirà a Vittorio di crescere veramente, di maturare, di seguire la sua strada. Riccarda, al contrario, grazie ad una costante ribellione riuscirà a seguire il suo istinto e a fare ciò che ama, per questo verrà additata come sbagliata.


Il talento è un tema centrale del romanzo perché Ines impedisce con il suo dogma della ragionevolezza di lasciare che il talento prenda il suo spazio: sopprime il suo talento (per il disegno), quello di Vittorio (per il nuoto) ma non quello di Riccarda (per la recitazione). Ines ritiene che il talento non sia sicuro, concreto, sensato. Ma può una vita essere felice se deve essere costantemente circoscritta all'interno di paletti sicuri e ragionevoli?
La Romagnolo, con La figlia sbagliata, ci insegna di no.

"All'illusione non c'è sollievo, è la cosa peggiore della vita."

Ho letto alcune recensioni in cui si sosteneva l'idea che il finale lasciasse le mani del lettore vuote. Non sono sicura che, in tal caso, sia stata davvero compresa la profondità delle vicende narrate e la carica emotiva che caratterizza questa famiglia. Il finale, infatti, era inevitabile ed ha chiuso il cerchio: ogni azione ed emozione vissuta nella storia familiare ha avuto la sua corrispondente e tragica conseguenza. 

#Stregathon iniziato alla grande. 




sabato 14 maggio 2016

Lacci di Domenico Starnone



La mia passione per le dinamiche familiari è ormai nota, ci sto costruendo una vita professionale attorno. Durante le terapie familiari a cui assisto nel mio ruolo di tirocinante emergono sempre tanti sentimenti: sofferenza, senso di colpa, gratitudine, paura, accondiscendenza, gioia; tutta questa carica emotiva si incanala in una sola via, quella dei legami familiari. La famiglia ci influenza nel bene e nel male e ad essa saremo sempre correlati. Anche, per esempio, la volontà di rompere totalmente con le proprie origini comporterà una costante messa in gioco di esse mediante un'ottica di diniego e rifiuto. Ciò che noi siamo, siamo stati e saremo dipenderà sempre da quello che è accaduto a coloro che ci hanno preceduto, come gocce di rugiada che cadono dai rami ed riempiono lo stesso vaso di Pandora. In terapia il vaso di Pandora lo si apre insieme ed insieme lo si cerca di affrontare nella sua totalità, Starnone ha invece messo il vaso di Pandora nero su bianco, parola dopo parola, intessendo una rete di sentimenti così straziatamente umani da lasciarci inermi.



Lacci è infatti la storia di una famiglia analizzata da tre diversi punti di vista: tutti i membri della famiglia nucleare danno voce al proprio modo di percepire la medesima realtà, senza filtri e censure.
Parla di un matrimonio, di tentativi di cucirlo, scucirlo, rammentarlo e, soprattutto, parla di tutte quelle emozioni che circondano i vari fili della medesima e dolorosa tela.

La prima parte è esposta in forma epistolare e la voce narrante, nonché mittente delle lettere, è Vanda, la moglie. Si evince che il marito l'abbia lasciata per un'altra donna molto più giovane di lei. L'abbandono e la conseguente sofferenza sono aspetti che subito colpiscono l'occhio ed il cuore del lettore. Si stanno leggendo le parole di una donna dilaniata dal dolore, che tenta di alzare la testa ma, poco dopo, la riabbassa, sfinita.
La seconda parte del romanzo prende i lineamenti del marito, uomo di base inetto, che tenta più o meno subdolamente di non assumersi responsabilità alcuna nel costante tentativo di mantenere il proprio benessere sull'altare.
La terza ed ultima parte dà infine voce ai figli, spettatori apparentemente silenziosi e passivi delle dinamiche dei genitori.


«Appena ti sforzi di dire con chiarezza una cosa, ti accorgi che è chiara solo perché l'hai semplificata.»

La realtà è questa: tale romanzo l'ho adorato e divorato. 
La prosa di Starnone è straordinaria, la sua capacità di analizzare la psicologia dei personaggi, sviscerando i loro vissuti anche mediante un'ottica intergenerazionale (aspetto essenziale se si vuole trattare tematiche familiari), è degna di nota. I personaggi sono così reali, così umani, da risultare quasi antipatici. Sì, antipatici. E forse questa è l'unica pecca di Lacci: non c'è speranza in queste dinamiche, non c'è un'azione propositiva, non c'è gratuità, non c'è gioia di vivere. C'è solo il seme del male, della vendetta e dell'inerzia che passa dai genitori ai figli. 

Vi è una figura femminile da una struttura di personalità depressa con tratti passivo-aggressivi. Si ciba della vendetta, incurante del benessere suo, dei suoi figli, di suo marito. 

«Dopo un po', certo, si ricompose, si ricomponeva sempre. Ma ad ogni ricomposizione sentivo che aveva perso qualcosa di sé.»

La figura maschile è invece caratterizzata da una costante inerzia, da un rifiuto delle responsabilità di adulto, di marito, di padre. Ciò che li accomuna è la totale assenza di alterità. La sofferenza ed i sacrifici degli altri non li vedono, troppo concentrati su sé stessi, nel bene e nel male; e senza alterità non c'è speranza, ricordiamolo. Li accomuna anche un'estrema insicurezza: lei si appiglia a lui sempre e costantemente, nel bene e nel male; Vanda senza suo marito non sarebbe Vanda. Lui d'altro canto si appiglia a tutto ciò che nel qui ed ora gli appare più sicuro: la moglie, l'amante, il lavoro, ciclicamente. Non c'è comunicazione, non c'è rispetto né di sé né dell'altro. C'è solo una totale passività, un lasciarsi vivere.
Anche il ruolo genitoriale ed educativo ha un aspetto cruciale. Essi fanno, infatti, tutto ciò che non si dovrebbe fare durante una separazione: mettono tra loro i figli, un po' come scudo, un po' come arma, un po' come alleati. Non essendoci né alterità né comunicazione non c'è cogenitoralità e, come precedentemente detto, il seme del male diviene intergenerazionale.
Certo, il finale nel suo totale stupore, dà un barlume di speranza sebbene avvenga nella totale tempesta.

«C'è una distanza che conta più dei chilometri e forse degli anni luce, è la distanza dei cambiamenti.»





giovedì 12 maggio 2016

La casa per bambini speciali di Miss Peregrine


Comprai questo libro diversi anni fa ma, non so perché, è sempre rimasto a guardarmi sulla libreria. 
L'imminente arrivo al cinema del film mi ha senza dubbio incentivato ad addentrarmi nella sua lettura.
La prima cosa che balza all'occhio è l'originalità e la cura dell'impaginazione: ogni inizio capitolo è impaginato con cura, il racconto viene accompagnato da reali foto d'epoca che l'autore, Ransom Tiggs, è riuscito ad avere generosamente in prestito dagli archivi personali di diversi collezionisti e tra le mani sembra di avere un piccolo gioiellino dell'editoria contemporanea.







Il romanzo, molto brevemente, tratta di Jacob, 16enne un po' annoiato dalla quotidianità che da sempre ha un rapporto speciale con suo nonno Abraham, unico sopravvissuto allo sterminio della sua famiglia di ebrei polacchi e cresciuto in un orfanotrofio inglese. Le storie del nonno su questo luogo sono velate da un alone di mistero: egli parla di bambini speciali, poteri magici, mostri da sconfiggere.
La morte cruenta e misteriosa del vecchio Abraham riporterà a galla racconti che Jacob credeva appartenessero alla fantasia del nonno, dando inizio a quella che dovrebbe essere una storia estremamente avvincente.

Dovrebbe. Dovrebbe perché, onestamente, sono rimasta un po' delusa da questa lettura e non l'aspettavo proprio, soprattutto in seguito alla lettura di numerose recensioni positive.
Ci sono tantissimi spunti, un'idea geniale alla base di questo romanzo, fotografie d'epoca che danno "quel qualcosa in più" alla narrazione ma nulla è stato approfondito, è rimasto tutto lì. Inutilizzato. Non si è dato forma agli eventi né carattere ai personaggi; le scelte prese in corso d'opera sono poco contestualizzate ed approfondite: una totale assenza della psicologia dei personaggi (i bambini speciali sarebbero di per sé interessantissimi come elementi e non vengono minimamente approfonditi), una storia d'amore banale (e riluttante, permettetemelo), una relazione intergenerazionale nonno - padre -figlio totalmente lasciata al caso (vogliamo parlare delle battute finali tra Jacob e suo padre? Scherziamo? Bastava qualche pagina in più per spiegare le dinamiche e dare voce alle emozioni di tre generazioni ed invece no. Sbolognato in due battute e arrivederci e grazie), battute dei personaggi talvolta infantili inadeguate al contesto, momenti in cui ci dovrebbe essere il massimo della tensione e della dinamicità dell'opera che si risolvono in poche battute. 




Non so se avrò voglia di leggere il seguito. La storia si interrompe lasciando tutte le carte scoperte ma la realtà dei fatti è che questo libro mi è sembrato un semplice accenno ad una storia. Una bozza.
Come il "Sa signora, suo figlio è molto intelligente ma non si applica".

Che amarezza.


Trailer del film diretto da Tim Burton:



Link Stratazzami (vedi prima foto): https://www.facebook.com/Stratazzami/?fref=ts

giovedì 21 aprile 2016

Otello


In ritardo (come sempre) il terzo capitolo della #MaratonaShakespeariana.
Amleto, secondo capitolo della maratona, l'ho letto ed adorato e spero di riuscire a scrivere qualche parolina anche su di lui il più presto possibile.

Oggi ho voglia di esporvi qualche pensiero random sulla lettura di Otello che, come tutti i personaggi di Shakespeare, è estremamente umano in tutte le sue debolezze.




Otello è una tragedia di Shakespeare scritta intorno al 1603 e potremmo sottotitolarla con Gelosia canaglia. Non è un caso se la sindrome psicotica che prevede la morbosa ed ossessiva convinzione che il proprio partner sia infedele, spesso accompagnata da comportamenti violenti, venga chiamata "Sindrome di Otello".

Otello è un personaggio con tratti particolari, opposti ai classici canoni dell'eroe: è nero, vecchio, non più quello che si considera "un avvenente uomo" e dalla storia travagliata e combattuta. Desdemona, una meravigliosa fanciulla proveniente da un'aristocratica famiglia, si innamora di lui attraverso i suoi racconti e, in gran segreto, si sposano. Il loro amore è tuttavia minacciato da Iago, alfiere di Otello. Egli è un personaggio a mio avviso straordinario: ha un'ironia sprezzante, una dialettica tagliente, è diabolico nella progettazione del suo piano di vendetta e detiene il seme del male: sarà proprio lui a far germogliare nell'animo di Otello la morbosa gelosia che caratterizzerà poi le vicende degli ultimi tre atti della tragedia.
Iago: "Guardatevi dalla gelosia, mio signore! È un mostro dagli occhi verdi che si diletta Col cibo di cui si nutre." - Atto III, Scena III
Iago è dunque considerato il cattivo per antonomasia, tuttavia ritengo che analizzando la tragedia su un altro piano di lettura, sebbene la crudeltà di Iago sia esplicita, la feroce gelosia di Otello non sia giustificata né dalle azioni della povera Desdemona né dalle parole dello stesso Iago: Otello ha infatti insita nella sua natura un'insicurezza ed una fragilità che gli impediscono di opporsi alle allusioni del suo alfiere. I dubbi che Iago cerca di insinuare nella sua mente sono già presenti, il terreno su cui Iago semina è un terreno fertile.

Curioso è anche il modo con cui Desdemona accetta ed affronta la morte, come se si stesse preparando ad una notte d'amore, totalmente coinvolta dalla personalità di per sé violenta e cupa del marito, la medesima personalità che l'aveva fatta innamorare. L'associazione con le vicende di femminicidio che riempiono ad oggi le pagine di cronaca è immediata.
Questa tragedia offre spunti di riflessione su diversi argomenti: sull'accettazione dell'altro come "altro da me" e dunque indipendente dal mio solo volere, totalmente assente nei casi di violenza di genere; sull'origine e sullo sviluppo della gelosia e della vendetta (spesso strettamente correlate), sul "dove è davvero insito il male?" Nella calunnia Iago? Nella debolezza di Otello? Nella passiva accettazione di Desdemona?
Otello: Io ti ho baciato prima di ucciderti; ora che mi sono dato la morte  non posso che morire, in un tuo bacio. - Atto V, Scena II.
Onestamente la Tragedia di Otello mi è piaciuta da morire (giusto per restare in tema): il ritmo incalzante ed il repentino susseguisi di eventi facilitano la lettura, la caratterizzazione dei personaggi è notevole, la trama è quella tipica della tragedia Shakespeariana e no, non può non piacere. 
Iago: "Virtù un cavolo! Sta solo in noi essere così o cos'altro. Il nostro corpo è un orto e l'ortolano è il nostro volere. Sia che vogliamo piantare ortiche o seminare lattughe; metter l'issopo o sradicare il timo; coltivarlo a una sola o a infinite specie d'erbaggi; lasciarlo andare a scento per pigrizia o concimarlo e farlo fruttare a dovere: la potestà e il magistero di tutto questo sta nel nostro arbitrio." - Atto I, Scena III

lunedì 1 febbraio 2016

Macbeth


Come iniziare il 2016 con lo spirito giusto?
Ovviamente partecipando all'iniziativa, proposta dal blog Scratchbook ,  #Maratonashakespeariana, la quale richiede di leggere una tragedia di Shakespeare al mese in occasione del quattrocentesimo anno dalla sua morte.
William 
Shakespeare lo studiai sommariamente al liceo e, per puro diletto, lessi solo il famosissimo Romeo e Giulietta (ADORO!). 
Oh, ma quale luce irrompe da quella finestra lassù? Essa è l'oriente, e Giulietta è il sole. Sorgi, bel sole, e uccidi l'invidiosa luna già malata e livida di rabbia, perché tu, sua ancella, sei tanto più luminosa di lei: Non servirla, se essa ti invidia; la sua veste virginale e d'un colore verde scialbo che piace solo agli stupidi. Gettala via! Ma è la mia dama, oh, è il mio amore! Se solo sapesse di esserlo! Parla eppure non dice nulla. Come accade? È il suo sguardo a parlare per lei, e a lui io risponderò. No, sono troppo audace, non è a me che parla. Due elle più belle stelle del cielo devono essere state attirate altrove e hanno pregato gli occhi di lei di scintillare nelle loro orbite durante la loro assenza. E se davvero gli occhi di lei, gli occhi del suo volto, fossero stelle? Tanto splendore farebbe scomparire le altre stelle come la luce del giorno fa scomparire la luce di una lampada: in cielo i suoi occhi brillerebbero tanto che gli uccelli si metterebbero a cantare credendo che non fosse più notte. - Romeo: Atto II, Scena II
Dunque quale migliore occasione, questa, per poter leggere le altre tragedie tutti insieme appassionatamente?
Mi sono pertanto armata della raccolta edita Einaudi (trad. Cesare Vico Lodovici) e mi sono immersa nella lettura della prima tragedia dell'anno: Macbeth.





Per i più curiosi, questo è il programma:



Gennaio - Macbeth
Febbraio -  Amleto
Marzo - Otello
Aprile - Re Lear
Maggio - Antonio e Cleopatra
Giugno - La Tempeste
Luglio - Romeo e Giulietta
Agosto - Sogno di una notte di mezza estate
Settembre - Il mercante di Venezia
Ottobre - Come vi piace
Novembre - Giulio Cesare
Dicembre - La dodicesima notte



Macbeth è tra i più conosciuti drammi di Shakespeare, nonché tragedia più breve, composta da cinque atti e composta indicativamente tra il 1905 ed il 1906. Si apre con l'apparizione delle tre Streghe, chiamate anche Sorelle Fatali, personaggi poco realistici, quasi mistici che nelle prima battute progettano di incontrare Macbeth in seguito ad una battaglia. Sono personaggi singolari che fanno immediatamente trasparire una realtà tetra ed ambigua. 

Bello è il brutto e brutto il bello: Voliamo per la nebbia e l’aria lurida.  Atti I, Scena I

Questa enigmatica frase è quella con cui le streghe si congedano dalla primissima scena di Macbeth e fa emergere immediatamente i contenuti dell'intera tragedia: si assiste infatti ad uno stravolgimento dei valori, ad una deformazione della realtà con la conseguente perdita di ogni certezza. I contrasti semantici, ben chiari in questa battuta (bello-brutto) sono una sorta di colonna portante dell'intera tragedia e consentono di mantenere un clima di costante oscura confusione.
Il successivo incontro delle sorelle fatali con Macbeth e l'amico Banquo rappresenta quello che si può definire il "punto di non ritorno" di tutta la storia: le tre streghe, infatti, con toni vaghi tipici delle profezie, chiamano Macbeth con i titoli di conte di
 Glamis, conte di Cawdor ed infine re di Scozia; mentre a Banquo confidano che egli non regnerà ma sarà padre di una discendenza di re. 



E' questa corsa al potere ed alla corona che comporterà per il protagonista del dramma shakespeariano l'avviarsi di un circolo vizioso di complotti ed omicidi. All'interno di questo disfunzionale contesto Lady Macbeth, donna ambiziosa e apparentemente senza scrupoli (mi ricorda un po' la regina Cersei de Le cronache del ghiaccio e del fuoco), avrà un ruolo cruciale. Ella, infatti, farà leva sullo spirito facilmente influenzabile del marito per riuscire a raggiungere i suoi obiettivi attraverso i mezzi più sanguinosi e disumani.
Interessante è il monologo in cui invoca gli spiriti del male affinché le diano la forza necessaria per compiere le azioni progettate senza paura e ripensamenti:

Venite, o Spiriti che v’accompagnate ai pensieri di morte, e in questo punto snaturate in me il sesso, e colmatemi da capo a piedi, fino a traboccarne, della più spietata crudeltà! Rendete più denso il mio sangue, sbarrate ogni accesso o passaggio alla compassione; così che nessuna visita contrita dei sentimenti naturali scuota il mio feroce proposito, e venga a metter pace fra questo e la sua esecuzione! 
Lady Macbeth - Atto I, Scena VI 
  


L'aspetto più intrigante dell'intera vicenda è, a mio parere, il fatto che i veri antagonisti siano i fantasmi della coscienza di Macbeth e della moglie, i quali trasformeranno i protagonisti da assassini ambiziosi a eroi tragici, alle prese con i tormenti costanti del loro personale inferno interiore.
Si rivelano personaggi totalmente umani, con pulsioni, desideri e paure reali, incapaci di non essere soggiogati dalla brama del potere ma altrettanto inadeguati nell'affrontare le conseguenze che la via che hanno deciso di percorrere comporta, perché ad ogni piccolo crimine ne sussegue un altro, e poi un altro, e poi un altro ancora. La ciclicità della crudeltà umana è un aspetto, purtroppo, estremamente quotidiano e la tragedia di Macbeth sembra essere un invito ad utilizzare sempre la ragione e la forza di volontà per vincere non sugli altri, bensì su sé stessi e sulle nostre pulsioni più primordiali e disfunzionali.