domenica 28 ottobre 2012

#Pensieri: L'undicesimo comandamento

Secondo l’Antico Testamento Dio consegnò a Mosè, sul monte Sinai, il Decalogo: dieci comandamenti che un buon fedele avrebbe dovuto seguire durante tutto il corso della sua vita, in modo da essere degno di entrare nel Mondo dei Cieli.
Ma Dio, si sa, è un po’ un burlone e, nell’incidere sulla roccia le regole che avrebbero reso un uomo degno di tale nome, si è concentrato un po’ troppo su se stesso tralasciando punti essenziali. 
Mi sento dunque in dovere di aggiungere l’undicesimo comandamento: Sii coraggioso. Poiché ci vuole soprattutto coraggio in questa vita. Non comprensione, non supporto, non preghiere. Coraggio. Coraggio per andare avanti quando tutto attorno a te crolla, coraggio per credere in te stesso, coraggio per non lasciati sopraffare dalle esperienze negative, coraggio per amarti in modo incondizionato. Ci vuole coraggio per vivere e Dio se l’era dimenticato. Dio si era scordato che noi uomini siamo esseri fragili, deboli, limitati, capaci di toccare il fondo, di curarci le ferite con le nostre lacrime, senza tuttavia riuscire a riaffiorare in superficie. Dio si era dimenticato anche del fatto che noi uomini siamo per lo più soli e, nei momenti bui, possiamo contare solo sulle nostre forze. Ritengo dunque necessario l’undicesimo comandamento per ricordare prima di tutto noi stessi che non dobbiamo mollare, mai, e che solo noi abbiamo le redini della nostra vita. Dunque: siamo coraggiosi.

lunedì 22 ottobre 2012

1Q84 Libro 3 Ottobre - Dicembre




Avrebbero dovuto inserire come sottotitolo "La delusione dopo l'attesa"
400 pagine di NULLA. Murakami, che ci aveva lasciato in sospeso con 1Q84 II, delude qualsiasi aspettativa: ciò che sembrava un'avvincente storia in una realtà parallela, in cui i protagonisti si contrappongono ai Little People e tutto è messo in discussione si rivela essere una banalissima riconciliazione amorosa tra due persone che non si vedono da vent'anni. 
Inoltre lo stile prolisso e ridondante di Murakami questa volta non aiuta poiché, a conti fatti, sono più le pagine che descrivono minuziosamente vestiario, dieta e azioni quotidiane dei personaggi di quelle in cui vengono realmente narrate le vicende. 
Forse Murakami ha aperto un po' troppe finestrelle per andare poi a narrare una semplice storia d'amore.


Due stelline, non di più.


Per un parere più approfondito clicca sul mio faccino e goditi i miei deliri davanti alla fotocamera!


La mia libreria anobii: http://www.anobii.com/0120fadec666e694e2/books

sabato 20 ottobre 2012

Riflessione #1 BAMBINI INDACO. PARLIAMONE!


Dopo aver visto una video recensione sul “saggio” The Indigo Children di Lee Carroll e Jan Tober in cui venivano esaltati questi pseudo bambini indaco mi sono sentita in dovere di scrivere una mia modesta opinione poiché, studiando psicologia, determinate convinzioni e considerazioni mi hanno letteralmente fatto accapponare la pelle. Il rispetto nelle persone e nei pensieri altrui c’è sempre, ma quando si tratta della salute fisica e/o mentale del prossimo bisogna prestare molta attenzione.

Li definisco pseudo bambini poiché, scusate la franchezza, ma NON ESISTONO (non a caso Lee Carroll, autore de The Indigo Children, è un SENSITIVO, ESOTERISTA, convinto di poter dialogare con entità spirituali - Sintetizzando: ha la stessa credibilità di Wanna Marchi-). La comunità scientifica, non casualmente, non ha accettato l’esistenza di questi fantomatici bambini indaco, chiamati in tal modo poiché presentavano un’AURA di tale colore. The Indigo Children, scritto nel 1999 (siamo nel 2012, ci sono stati un po’ di sviluppi in campo medico) è composto solamente da testimonianze di genitori e parenti e non di veri ed accreditati studiosi in materia (Un “saggio”, perché di questo si tratta, degno di tale nome, insomma). Chissà perché. Forse perché per una famiglia è più semplice credere di non avere un figlio potenzialmente malato o affetto da un disturbo di apprendimento o di personalità o di sviluppo ma semplicemente “speciale”. E’ più facile e più accettabile coprirsi gli occhi e credere nell’esistenza di un’aura azzurrina che rende un bambino “particolare”. Peccato che tali convinzioni siano nocive poiché portano ad ignorare e, quindi, a non curare, disturbi nella fase dell’infanzia che, con gli anni, possono sfociare in problematiche molto più gravi. Peccato che tali convinzioni siano nocive poiché portano ad ignorare e, quindi, non curare, disturbi nella fase dell’infanzia che, con gli anni, possono sfociare in disturbi molto più gravi. 
Posso anche concordare sull’idea che il disturbo da deficit di attenzione-iperattività sia una sindrome pompata dalle lobby farmaceutiche americane al solo fine di incrementare i profitti della vendita di farmaci modulatori del comportamento. In effetti l’epidemiologia parla chiaro e, in certi stati, le diagnosi sfiorano il 20% della popolazione in fascia d’età, dato assolutamente incredibile da ogni punto di vista, clinico o profano che esso sia. Fatta questa premessa, l’iperattività patologica nel bambino esiste, anche se in casistiche di molto minori a quello che vogliono farci credere e deve essere curata con approccio multidimensionale (medico-psicologico in questo caso), in modo tale da assicurare al paziente una coerente riabilitazione comportamentale ed un ingresso non patologico nelle successive fasi dell’età. Parlare di bambini indaco e fare i buonisti sostenendo la “specialità” di pazienti che in realtà stanno o staranno male davvero non fa altro che creare un vuoto in cui la malattia stessa cessa di essere presa in considerazione, creando l’assenza di cura e conseguentemente l’abbandono dei soggetti. In sintesi,  i deficit di attenzione-iperattività ESISTONO anche se le statistiche cliniche in molti paesi SONO POMPATE al fine di mettere in commercio dosi maggiori di farmaci di nicchia il cui sviluppo è costato milioni di dollari (cosa obbrobriosa certamente), e quindi, una volta accertata la diagnosi attraverso gli appositi strumenti il bambino DEVE ESSERE CURATO perché NON E’ SPECIALE ma MALATO. 

martedì 16 ottobre 2012

Invisible Monsters



Perfetta satira in stile Palahniuk sulla società odierna, fondata prevalentemente su valori effimeri quali la bellezza esteriore, l'apparire ed il mostrarsi. L'unico motivo per cui vale la pena vivere è l'essere sotto i riflettori, l'avere qualcosa di diverso dalla massa, poco importa di cosa si tratti. I temi principali che vengono trattati nel romanzo sono dunque la bellezza, il mondo della moda, l'omosessualità e l'abuso di farmaci.
Lo stile narrativo è particolarmente dinamico anche grazie all'utilizzo della parola "Flash", con la quale la protagonista (una giovane e bellissima fotomodella), si descrive e si vede descritta dalla società.
"Dammi magia, piccola.
Flash.
Dammi stupore.
Flash."
Palahniuk non delude e, come al solito, insegna e fa riflettere.
Link della mia libreria aNobii: http://www.anobii.com/0120fadec666e694e2/books

venerdì 12 ottobre 2012

Fight Club




Crudele, spietato ed incredibilmente vero

Fight Club è stato il mio primo approccio con Palahniuk e, onestamente, ci ho messo un po’ di tempo per entrare nel libro e nello stile dell’autore. Chuck Palahniuk, infatti, ha uno stile particolare, pressoché unico: attraverso l’abuso di punti fermi, le ripetizioni ridondanti che diventano slogan e le espressioni forti, trasmette al lettore la cruda realtà che vuole descrivere. Fight Clubè un libro di denuncia nei confronti della società attuale la quale, mediante materialismo, classismo e consumismo, aliena l’uomo evidenziando la sua inutilità dinnanzi al mondo. I personaggi sono portati all’eccesso ergo, non sono propriamente reali. Il protagonista di Fight Club, nonché voce narrante dell’intero romanzo, è anonimo. Apparentemente ha una vita serena e tranquilla, in realtà è fortemente turbato, convive con l’insonnia e trova appagamento solo frequentando sedute di sostegno per malati terminali, durante le quali incontrerà Maria, LA donna dell’intero libro. Il turning point si ha con l’incontro con Tyler Durden: anarchico, nichilista, il cui unico obiettivo è ribellarsi alle convenzioni che la società odierna impone. Insieme fondano il Fight Club in uno scantinato di un bar, all’interno del quale la gente potrà combattere fino allo sfinimento. Punto cardine del Fight Club è che non si combatte contro l’altro ma contro tutto ciò che circonda i personaggi, opprimendoli e legandoli a dogmi che non li rappresentano. E’ un libro crudo, spietato, che in certi punti procura una sorta di male fisico al lettore (più volte ho dovuto interrompere la lettura per qualche secondo a causa di un peso a livello dello sterno e di un leggero formicolio lungo tutto il corpo). Nonostante questo (o, forse, proprio per questo), lo ritengo uno dei migliori libri letti fino ad ora.

Video Recensione di 1Q84 Libro 1 e 2


1Q84 Libro 1 e 2
Haruki Murakami


lunedì 1 ottobre 2012

Anima mia che metti le ali



Anima mia che metti le alie sei un bruco possenteti fa meno male l'oblioche questo cercio di velo.E se diventi farfallanessuno pensa più a ciò che è statoquando strisciavi per terrae non volevi le ali.Alda Merini