sabato 20 ottobre 2012

Riflessione #1 BAMBINI INDACO. PARLIAMONE!


Dopo aver visto una video recensione sul “saggio” The Indigo Children di Lee Carroll e Jan Tober in cui venivano esaltati questi pseudo bambini indaco mi sono sentita in dovere di scrivere una mia modesta opinione poiché, studiando psicologia, determinate convinzioni e considerazioni mi hanno letteralmente fatto accapponare la pelle. Il rispetto nelle persone e nei pensieri altrui c’è sempre, ma quando si tratta della salute fisica e/o mentale del prossimo bisogna prestare molta attenzione.

Li definisco pseudo bambini poiché, scusate la franchezza, ma NON ESISTONO (non a caso Lee Carroll, autore de The Indigo Children, è un SENSITIVO, ESOTERISTA, convinto di poter dialogare con entità spirituali - Sintetizzando: ha la stessa credibilità di Wanna Marchi-). La comunità scientifica, non casualmente, non ha accettato l’esistenza di questi fantomatici bambini indaco, chiamati in tal modo poiché presentavano un’AURA di tale colore. The Indigo Children, scritto nel 1999 (siamo nel 2012, ci sono stati un po’ di sviluppi in campo medico) è composto solamente da testimonianze di genitori e parenti e non di veri ed accreditati studiosi in materia (Un “saggio”, perché di questo si tratta, degno di tale nome, insomma). Chissà perché. Forse perché per una famiglia è più semplice credere di non avere un figlio potenzialmente malato o affetto da un disturbo di apprendimento o di personalità o di sviluppo ma semplicemente “speciale”. E’ più facile e più accettabile coprirsi gli occhi e credere nell’esistenza di un’aura azzurrina che rende un bambino “particolare”. Peccato che tali convinzioni siano nocive poiché portano ad ignorare e, quindi, a non curare, disturbi nella fase dell’infanzia che, con gli anni, possono sfociare in problematiche molto più gravi. Peccato che tali convinzioni siano nocive poiché portano ad ignorare e, quindi, non curare, disturbi nella fase dell’infanzia che, con gli anni, possono sfociare in disturbi molto più gravi. 
Posso anche concordare sull’idea che il disturbo da deficit di attenzione-iperattività sia una sindrome pompata dalle lobby farmaceutiche americane al solo fine di incrementare i profitti della vendita di farmaci modulatori del comportamento. In effetti l’epidemiologia parla chiaro e, in certi stati, le diagnosi sfiorano il 20% della popolazione in fascia d’età, dato assolutamente incredibile da ogni punto di vista, clinico o profano che esso sia. Fatta questa premessa, l’iperattività patologica nel bambino esiste, anche se in casistiche di molto minori a quello che vogliono farci credere e deve essere curata con approccio multidimensionale (medico-psicologico in questo caso), in modo tale da assicurare al paziente una coerente riabilitazione comportamentale ed un ingresso non patologico nelle successive fasi dell’età. Parlare di bambini indaco e fare i buonisti sostenendo la “specialità” di pazienti che in realtà stanno o staranno male davvero non fa altro che creare un vuoto in cui la malattia stessa cessa di essere presa in considerazione, creando l’assenza di cura e conseguentemente l’abbandono dei soggetti. In sintesi,  i deficit di attenzione-iperattività ESISTONO anche se le statistiche cliniche in molti paesi SONO POMPATE al fine di mettere in commercio dosi maggiori di farmaci di nicchia il cui sviluppo è costato milioni di dollari (cosa obbrobriosa certamente), e quindi, una volta accertata la diagnosi attraverso gli appositi strumenti il bambino DEVE ESSERE CURATO perché NON E’ SPECIALE ma MALATO. 

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